Leonardo

Fascicolo 5


Ecclesiazuse moderne
di La Compiuta Donzella (Amy Bernardy)
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Narra il buono Omero nel principio di certo suo mirabile canto, come andasse un esercito di gru per l'ampio cielo schiamazzando e movendo in guerra contro taluni lor piccioli nemici, chiamati dalla tradizione pigmei. E subito inconsci o immemori e di gru e di pigmei, descrive il poeta uomini ed eroi combattenti sotto lo sguardo degli Dei immortali le battaglie meravigliose dell'epopea: — episodio, quello delle gru, illustrato anche argutamente da un bello artefice, se non erro, sull'orlo di certo suo vaso adorno e pregevole molto.
   Ora a me, quando sento e vedo le odierne ecclesiazuse agitarsi in Congressi, schiamazzare in assemblee, sputar bava e fiele su per le gazzette, torna in mente, con una tal quale intonazione tra melanconica e ironica ad un tempo, quel luogo del divino Omero. — Così nella nostra vita moderna, agitata senza posa dal flutto ricorrente della civiltà, dal febbrile pulsar del progresso, combattiamo noi ora, sotto l'occhio del fato immortale, le implacate battaglie del pensiero. Così, torcendo i lunghi colli e stirando le ali spennacchiate, si sbizzarriscono contro certi pigmei della loro immaginazione le gru del tempo e della civiltà nostra, che da gru dignitose e progressiste hanno voluto una bandiera, l'hanno trovata razzolando negli armadi della retorica stantia, e agitandola in cospetto del mondo e del sole l'hanno chiamata femminismo: brutta parola e cosa brutta. Al novissimo schiamazzo la gente si volta, e si ferma a considerare lor vanità che par persona. E le gru stirano i! collo, sparmazzano le ali, e danno altri segni di allegrezza bestiale, sì che il tedio della cosa comincia a diventare intollerabile, — Soffermati sull'arida sponda quasi quasi ci domandiamo se per avventura non sia una immensa leggenda, una colossale illusione quella che nei nostri giovani anni ci veniva dicendo di donne gentili e pie, consolatrici amabili, ispiratrici geniali, signore di grazia e di cortesia, chè alle grida delle gru, tutto il leggiadro e nobile edificio sembra capitombolare ignominiosamente. Poichè non certo dimostrano intelligenza geniale, nè spirito alcuno di femminil decoro queste donne che si dibattono in piazza per farsi ascoltare, che alzano la voce stridula in mezzo alla folla perchè la gente che ha altro da fare si volga pure una volta, e stupisca allo spettacolo, che veramente è di quelli per cui il vecchio Aristofane teneva in serbo un catino.
   Guardate: chi sono le novissime femministe? Non certo le pie madri cui sorride dalle culle circondate di sogno e di speranze tutta una visione luminosa d'avvenire; e non sono le donne austere di cui il dolore ha temprato anima al silenzio decoroso. E non sono quelle che un arduo lavoro piega e costringe rigidamente, di continuo, e non sono le animule blandule e leggere che bevono dalla vita, con un sorriso o con una lacrima, la coppa della gioia o il calice dell'amarezza. Non le vergini savie, non le vergini folli, non le matrone e non le vestali.
   Quali, dunque? — Lo stormo ignavo di quelle che l'invidia rode di non aver saputo farsi fieramente amare nè fieramente odiare, di non aver saputo destare intorno a sè quell'onda di simpatie e, sia pure, di antipatie che accompna la battaglia, ed è il segno della vittoria; quelle che la ribellione dell'impotenza esaspera, quelle che la dignità di sè stesse non conforta.
   Costoro, che non hanno saputo andare incontro alla vittoria pe la via piana trionfale, amano immaginarsi che non esse l'hanno smarrita, cercandola per devii sentieri, ma che l'invidia e la malignità dell'uomo ha precluso loro il passo. Ebbene, ciò non è vero. I forti sono naturalmente generosi: la petulanza li irrita, ma l'audacia serena li ammalia e li conquista. Perché andarci camuffando di ridicole e grottesche ferraglie, mentre abbiamo in mano le armi irresistibili e cortesi? Armi di gentilezza, armi di luce e di grazia abbagliano i mostri, atterriscono i draghi, conquistano il mondo. Adoperiamole dunque per incantarli, questi nemici mostruosi: non credete che verranno da sè, umili, supplichevoli, ammansati, colle orecchie dimesse e la coda a terra, alla carezza della nostra mano, all'impero del nostro cenno, alla musica della nostra parola?
   Così si vince. È inutile gridare quando basta mormorare per essere intese. Chi vi impedisce la vittoria, o propugnatrici della novissima idea? Sappiate vincere, e vincete. Vincete e passate, avete vinto nella gioia, senza ostentare la vostra vittoria. E voi, che dite di aver combattuto la vita con lacrime e con sangue, voi che dite di aver sofferto, e invocate la vostra sofferenza a giustificazione della vostra rivolta, voi, per la santità del dolore e per il pregio della fortuna, fate silenzio, silenzio, per la giustizia e per il dovere. Non date il brutto spettacolo all'ironia del volgo, al giudizio dei giusti e alla calunnia dei malevoli. Non mostrate alla folla la ferita della vostra carne; non mostratele, perdio, i brandelli del vostro cuore. E non schiamazzate. Non questa, non questa è la via della vittoria. È un'illusione di forza, non una forza, quella che per convincersi della propria esistenza ha bisogno di incoraggiarsi col clamore e col tumulto.
   Tutti, certo, vediamo molte cose che nel nostro mondo hanno bisogno di essere cambiate; tutti, credo, siamo convinti di certe necessità morali e sociali della comune esistenza; come l'ultima tra le femministe, vorrei anch'io che sparissero dalla faccia della terra certe miserie, per far posto a un po' di cose buone. — Ma chi dobbiamo combattere? Ah non gli uomini certo, non essi che, amici cordiali, amanti entusiasti, difensori cavallereschi, non hanno negato mai il passo ad alcuna delle nostre conquiste, nè mai ad una nostra vittoria hanno negato e l'omaggio e la sanzione, se fu degna la vittoria e la sanzione fu meritata. In noi dobbiamo combattere, o femministe dell'ultim'ora, i nostri nemici più accaniti: la nostra vanità meschina, la nostra presunzione petulante, la nostra smisurata ambizione. E vogliamo il libero dominio della vita e le responsabilità terribili dell'uomo e il governo dello Stato e il voto elettorale, noi, schiave di secoli, crisalidi di farfalle, creature d'impulso e non di raziocinio, di fantasia e non d'azione, di capriccio e non di logica? E abbiamo deciso, proprio sul serio, che siamo capaci più dell'uomo, di raziocinio, di logica e d'azione? E che li troveremo bell'e pronti in un tal ripostiglio a cui, vedi caso, non avevamo mai pensato prima, e di cui forse per vilissima invidia, la bestia-uomo ci aveva sottratto la chiave? Andiamo, via. L'argomento si presta troppo facilmente allo scherzo. La vantata regalità del femminismo ha ancora qualche cosa da imparare o da ricordare. E cioè, che «chaque gloire de femme est un bonheur manqué;» che non c'è al mondo cosa piú noiosa di un ribelle querulo, e che, per esser degni di combattere, bisogna esser degni di vincere. E vi dirò ancora una cosa, femministe dell'ultim'ora: ed è, che non chiederà mai la sua regalità al vostro femminismo la donna che la sentirà nella libera dignità della sua intelligenza e nella forza cosciente del suo pensiero, la donna che l'avrà sentita pur una volta nell'omaggio leale dell'uomo. E di questa regalità ogni donna dovrebbe rendersi degna. E quella che ne sarà priva, guardi sè stessa, osservi sè stessa, e confessi, confessi pure che la colpa è sua. Dovrebbero restarne poche, ostinate nel rifiutare la loro legittima regalità. Ebbene, a quelle poche, argomento di commiserazione altrui, noi lasceremo allora, come si lascia al folle l'illusione che gli è cara, il supremo conforto del femminismo. — Purché non schiamazzino, però. Poiché Euripide disse: «o donna, alle donne è decoroso il silenzio.»


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